In ricordo di Franco Travaglini

  • Posted on: 24 March 2021
  • By: Anonimo (non verificato)

L’Osservatorio: c’è stato un tempo in cui lo Stato non poteva contare neanche sulle proprie Forze Armate per cercare di arginare la voglia di cambiamento diffusa nel nostro Paese; c’è stato un tempo in cui i giovani rivoluzionari in divisa facevano tremare le gerarchie militari,in specie quei generali “felloni” che con il solo “tintinnare di spade” avevano tanto a lungo tenuto sotto minaccia le istituzioni democratiche. Si respirava finalmente un’aria nuova,per chi ricorda ,sembrava quasi incredibile vedere sfilare in corteo soldati inquadrati in cordoni con i fazzoletti rossi sul viso. Un ricordo indelebile. Per chi non ricorda o non era nato,pubblichiamo la testimonianza di un protagonista delle lotte dei P.I.D. (Proletari in Divisa ) …

 “Quando il 14 settembre del 1974 a Largo Argentina, ai lati del corteo, incontrai Franco e Cesare ci abbracciammo intensamente, e quasi con le lacrime agli occhi, ci guardammo a lungo come per dire:”ce l’abbiamo fatta!”.
Era la prima manifestazione pubblica di un gruppo di soldati in divisa dentro un corteo della sinistra rivoluzionaria. Sfilavano compatti, con i loro striscioni, i cartelli con le parole d’ordine del movimento che chiedevano diritto di rappresentanza e di organizzazione nelle caserme. Erano centinaia. In divisa e felici di essere li! Non era mai successo in Italia una cosa del genere, o forse manifestazioni di soldati erano avvenute solo nelle insurrezioni rivoluzionarie del primo dopoguerra europeo.
Quando Franco alla fine dell’agosto mi aveva chiamato per dirmi che avrei dovuto organizzare la partecipazione di soldati in divisa nella manifestazione che era stata indetta dalla sinistra rivoluzionaria italiana a sostegno della resistenza cilena ad un anno dal sanguinoso colpo di stato di Pinochet, scossi la testa e cercai tutte le ragioni per non fare una cosa così pericolosa per quelli che vi avrebbero partecipato. Ero convinto che i soldati che erano disponibili a lottare nelle caserme, avrebbero accettato con ritrosia l’idea di uscire così allo scoperto e alla manifestazione avrebbero partecipato solo i più convinti e l’iniziativa poteva così essere confinata nell’ambito della militanza.
Il regolamento di disciplina, allora in vigore, vietava esplicitamente ai militari di partecipare in divisa alla vita politica pubblica, ero convinto che la partecipazione ad una manifestazione della sinistra rivoluzionaria avrebbe scatenato una repressione generalizzata con processi e possibili condanne anche pesanti.
Franco rigettò le mie motivazioni opponendo la necessità politica dell’iniziativa.
A seguito del colpo di stato dei generali cileni, che avevano represso nel sangue l’esperienza del governo di Salvator Allende e della sinistra usciti vittoriosi dalle elezioni democratiche del 1970, il PCI di Berlinguer andava formalizzando la sua proposta di compromesso storico, pensando di evitare così analoghe situazioni in Italia coinvolgendo la Democrazia Cristiana nel governo del paese. Veniva così archiviata la possibilità di un governo di sinistra, cosa che all’epoca appariva se non immediata almeno possibile nel futuro prossimo.
In Cile l’esercito aveva giocato la sua tragica partita essendo stato impenetrabile alla mobilitazione popolare a sostegno del legittimo governo Allende, attaccato dai reazionari per l’azione del suo governo fortemente innovativa nel panorama sudamericano.

Ad un anno da quei tragici fatti che avevano sconvolto il sentimento popolare per la vicinanza delle esperienze che le due nazioni andavano compiendo, le maggiori organizzazione rivoluzionarie (Lotta Continua, Avanguardia Operaia e PDUP)avevano indetto una manifestazione nazionale proprio per contrastare e criticare la proposta politica del compromesso storico. Dentro quella manifestazione i soldati sarebbero stati la prova che, organizzando democraticamente l’esercito, avremmo potuto smantellare una delle principali armi del nemico (l’esercito) e contemporaneamente rafforzato il fronte democratico.
In effetti nell’ultimo anno i giovani usciti dalle esperienze di lotta nelle fabbriche e nelle scuole si trovavano di fronte gerarchie avvezze ancora al fascino della disciplina e dell’arroganza militaresca dell’ordine e della disciplina. Erano maturate in tutte le caserme italiane migliaia di lotte a testimoniare la volontà di non subire più la paura della punizione di rigore e del carcere militare.
Le prime lotte in caserma avevano avuto come obbiettivo quello di migliorare la qualità del cibo, prima esigenza avvertita da quelle migliaia di giovani strappati alla loro vita e sbattuti nell’inferno dei CAR (i famosi Centri di Addestramento Reclute) tra marce forzate, esercitazioni, allarmi notturni, punizioni assurde e violenze fisiche e verbali tali da distruggere anche le coscienze più formate. Poi le lotte si erano concentrate contro le esercitazioni militari dove l’arroganza militare aveva iniziato a mietere vittime con incidenti, anche mortali, dovuti alla scelte assurde di ufficiali fascistoidi e reazionari che avevano la sola cultura della forza e della violenza.
Il colpo di stato in Cile aveva poi aumentato l’antagonismo dei soldati contro la gerarchia militare con la sua parte più reazionaria esplicitamente legata a triplo filo con le organizzazioni dell’eversione e dell’estremismo di destra, che non faceva mistero di vedere con buon occhio l’esercito cileno che “aveva riportato l’ordine” nelle strade di Santiago.
“i soldati devono partecipare alla manifestazione in divisa!, anche se non sei d’accordo riunisci i gruppi organizzati delle caserme e fai questa proposta.”
Affrontai la questione lentamente, parlandone con i compagni di Lotta Continua che con me curavano l’intervento nelle forze armate e insieme iniziammo a sondare l’opinione dei gruppi interni alle caserme.
I miei timori sulla partecipazione risultarono subito completamente infondati.
L’idea piacque a tal modo che non avevamo sedi abbastanza grandi dove riunire i gruppi di soldati che, entusiasti dell’iniziativa, partecipavano in massa alle assemblee di preparazione della mobilitazione.
Per intercessione di un soldato che era consigliere comunale del PCI in qualche città del Sud Italia, ottenemmo di poter fare le riunioni finali nella sede del PCI dell’Eur, molto vicina alla Cecchignola, la maggiore concentrazione di caserme di Roma. Ero stato vice segretario della sezione ed ero stato espulso qualche anno prima. Quando arrivai e trovai i miei ex compagni di sezione schierati fuori la porta del locale nacque subito un parapiglia. Qualcuno dalla Federazione aveva autorizzato l’utilizzo dei locali, ma quelli della sezione mai avrebbero pensato che la persona attesa con impazienza dai soldati fossi io. Qualcuno provò a impedirmi l’accesso, ma tra le rimostranze dei soldati e la mia determinazione cadde ogni opposizione. L’assemblea votò all’unanimità la partecipazione in divisa, erano ammessi fazzoletti per nascondere il viso, bandiere rosse e cartelli con le parole d’ordina, avrebbero sfilato organizzati per caserma e furono decise le parole d’ordine:
1 riforma del regolamento di disciplina
2 diritto dei soldati di riunirsi in assemblea nelle caserme
3 diritto di rappresentanza dentro le caserme ed a livello locale e nazionale
4 diritto dei soldati di opporsi alle esercitazioni particolarmente pericolose
Furono dati, per ciascun gruppo di soldati, appuntamenti differenti lungo il percorso del corte così da non creare assembramenti troppo vistosi prima dell’ingresso dei soldati nella manifestazione.
Allo scioglimento della manifestazione i soldati avrebbero seguito il deflusso generale verso stazioni della metro e dei bus di modo da non rimanere troppo isolati. In ogni caserma i nuclei organizzati avrebbero mantenuto stretti legami con la organizzazione esterna per segnalare ritorsioni, denunce o arresti di chi aveva manifestato.
Era nata così l’ Organizzazione Democratica dei Soldati con lo “slogan soldati organizzati diritto di lottare la classe operaia saprà su chi contare”.

Da quel giorno in poi e per qualche anno non ci sarebbe stata manifestazione, evento, ricorrenza, che non avrebbe visto soldati in divisa partecipare attivamente.
Il tabù era stato frantumato.
Non vi furono repressioni generalizzate e nelle caserme da quel giorno si respirò un’aria diversa. Assemblee, dibattiti, istanze di rivendicazione permearono anche le gerarchie innestando un processo di associazionismo (a volte esclusivamente rivendicativo dal punto di vista sindacale) che ha permeato tutto l’universo del mondo in divisa, dai Carabinieri, alla Polizia, dagli ufficiali ai sottufficiali, dall’esercito all’Areonautica alla Marina.
Sarebbero poi arrivati la rivoluzione dei garofani dei militari portoghesi che, con Otelo de Carvalho, destituirono il dittatore Caetano, successore di Salazar.
Le foto dei soldati e dei marinai portoghesi con i garofani rossi campeggiavano sui giornali italiani, ma anche nelle caserme portoghesi facevano bella mostra di sé le foto delle manifestazioni dei soldati italiani. Le motivazioni non erano particolarmente chiare, tanto che in una caserma del genio militare che andai a visitare nel luglio del 1975 fui avvicinato da un gruppo di soldati che mi chiesero: ”noi ci siamo ribellati perché non volevamo più fare la guerra ad angolani e mozambicani, voi in Italia con chi siete in guerra?” .
Ci sarebbe stato nel 1976 il terribile terremoto in Friuli e per la prima volta l’esercito partecipò alla gestione dell’emergenza ed alla ricostruzione con un approccio tutto nuovo e in stretto rapporto con la popolazione locale.
La leva obbligatoria è stata abolita ed è stato un bene.
Ma quel 14 settembre fu indimenticabile. All’entrata in Piazza Navona la folla si aprì e centinaia di soldati sfilarono gridando i loro slogan tra due ali di folla entusiasta e commossa.
A qualche generale quella sera la cena andò di traverso, per molti di noi che per anni avevano impegnato tempo, intelligenza e costanza nella volontà di penetrare l’esercito con le istanze che pervadevano la società di quel tempo fu una grande vittoria “